mercoledì 20 gennaio 2010

NEL NOME DEL PADRE


Questa recensione è di cinque anni fa. Poco male, la penso ancora così!
Amen.
Non so che dire e neppure da dove iniziare! Quando vedo alcuni film la verità è che io vengo peggio di una fontana, perdo liquidi, bava, materia celebrale... che sia Splatters o 2001 Odissea nello Spazio, dal più rimbambito filmakers camerunense al più grande regista americano, quando c'è qualcosa in un film che mi strizza l'occhio non posso fare altro che ammutolirmi. Tremare e svenire. Sindrome di Stendhal. Nirvana.
Ecco... Nel nome del padre è uno di quei film che ti stordisce per la sua bellezza.
Presentato dall'Universal Pictures e prodotto da Hell's Kitchen e Gabriel Byrne, per la regia di Jim Sheridan e con interpreti l'ottimo Daniel Day-Lewis (Oscar nel 1990 come Migliore Attore Protagonista per "il mio piede sinistro"), Emma Thompson e...PETE "Al, AVVOCATO DEL SIG: KAISER" POSTLETHWAITE (sempre più bravo, sempre più bravo, tiamotiamotiamotiamo!!!!).
La trama è tanto ben articolata quanto incredibilmente reale nonché debilitante nell'animo, raccontata con un lungo flashback al sapor di mangianastri sul sedile di cuoio di una macchina inglese. Ciò che vediamo per circa 118 minuti è la storia VERA di Gerry Colon (chi cazzo ha riso per il suo cognome?), ragazzo che fugge sotto pressione di terroristi dall'Irlanda per rifugiarsi in Inghilterra (si, lo comprendo che suona come pirlata che un Irlandese negli anni '70 si rifugiasse in Inghilterra ma che ci devo fare...) in una comunità hippie.
Venne il 1975 e l'IRA fece detonare una bomba in un bar affollato da giovani nella capitale del Regno Unito, decine di morti ed allora gli Inglesi chi s'inchiappettano? Ovvio. Colon. (Uagh uagh uagh!!!!)
Accusato ingiustamente di terrorismo il povero Jerry viene costretto a confessare, imprigionato con il padre (Postlethwaite - ave caesar-) che lo aveva raggiunto in Inghilterra per darli man forte nel processo e con tutti i suoi amici e prossimi famigliari per quindici lunghi anni il giovane Jerry cresce e da ragazzotto di periferia diventa uomo riscontrandosi, scontrandosi e facendosi male nel rapporto con suo Padre.
Il film è qualcosa di davvero magistrale, non pecca di nulla e colpisce forte il cuore come pochi film sanno fare, inutile fare i bulli e dire che non c'è scesa una lacrima per questo film che lascia con l'amaro in bocca ed il corasòn turbato. La regia, gli attori, il mondo cresce senza invecchiare ma diventando sempre più maturo attorno al carosello carcerario che è gran parte del film e così quando al grido di "Hanno ammazzato Giuseppe" mille cartelli bruciati creano uno degli effetti più mozzafiato del cinema - 'fanculo la computer grafica- ci sembra che abbiano tolto qualcosa anche a noi. Ci sarebbero altre parole da dire e frasi da spendere su quest'opera ma anch'io ho una vita sociale... perciò in breve dirò il momento che più mi ha colpito in questo film saltando quello più brutto o deludente (che non sono riuscito a trovare...): "Mr. Colon, dove stà andando?!?" e scansandosi i poliziotti e i giornalisti dalle braccia il buon Jerry: "IO SONO INNOCENTE, IO USCIRò DALLA PORTA PRINCIPALE!"
Insomma questo film è stra bello, ma a cercare il pelo nell'uovo posso dire che la regia da manuale è -per l'appunto! - da manuale, non sbaglia ma non trova nulla di nuovo, non tenta e non si sbilancia per non rischiare di cadere dagli altissimi livelli con cui inizia il film. Pulita ma anche troppo!
Beh che c’è? Un difetto lo dovevo trovare, cazzo!
CONSIGLIATISSIMO!!!

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